Il movente politico è l’unica spiegazione della genesi del delitto Matteotti, a cui portano le fonti documentarie che il volume fa parlare, riportandole integralmente. La contrapposizione tra Matteotti e la dittatura – che caratterizzò tutto il “biennio legalitario” – nasce dallo studio del fenomeno fascista che, per primo, la vittima aveva condotto: egli conosceva le dinamiche del movimento nato a piazza San Sepolcro e continuò a interessarsi del modo in cui il Partito riusciva a dilagare nello Stato, anche prima della conquista del potere.
La torsione autoritaria che era stata impressa all’ordinamento statutario dopo la marcia su Roma agiva su due livelli, quello ideologico e quello istituzionale: su ambedue la posizione di Matteotti intralciava l’affermazione piena del fascismo e produceva nel Presidente del Consiglio, non ancora Capo del Governo, una sindrome d’accerchiamento.
La soluzione devastante, prescelta da Mussolini, è stata di fuoriuscire dalla politica con il crimine, ma in un certo senso, poi, anche di sanare il crimine con la politica: il 3 gennaio 1925 il duce dichiarò che “la violenza […] non può essere espulsa dalla storia” e, chiedendo per sé il palo e la corda, fissò i termini con cui quell’avventura si sarebbe affermata e, dopo vent’anni, conclusa.
Giampiero Buonomo (Napoli, 1964) fa parte della Società per gli studi di storia delle istituzioni e del comitato scientifico di “Mondoperaio”. Dal 1987 è Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica. Collabora con varie riviste storiche e giuridiche, tra le quali “Le carte e la storia”, “Diritto Pubblico Europeo Rassegna online”, “Questione giustizia”. Ha di recente pubblicato, con Domenico Argondizzo, Nascita e morte della democrazia in Parlamento 1920-1924. La forma di governo secondo Giacomo Matteotti, Rubbettino editore.